Fame.

Il lavoro mette fame, e questo č ormai risaputo. La cosa strana č che io di solito ero abituata a non mangiare per tutto il giorno, per poi abbuffarmi la sera. Ad ogni modo, quella volta mi venne un crampo allo stomaco. Non so se era pių giusto lasciar perdere quel fastidioso brontolio-per non perdere l'abitudine del digiuno, o se assecondarlo e divorare la prima cosa che avrei trovato sul menų di uno dei tanti ristoranti di Mosca.
Ero fuori l'ufficio perchč nessuno veniva nč a chiedere di casi stupidi da risolvere e nč riuscivo a starci bene: l'aria di settembre era l'unica che riuscissi a sopportare, nč troppo calda, nč troppo fredda,con quelle piccole correnti fredde che riescono a far trasalire il pių duro degli umani.
Insomma, ero fuori l'ufficio ed avevo fame. Non era per niente una giornata normale.
Stavo girovagando per Mosca cosė, senza una meta precisa, lavorando solo mentalmente per placare la mia fame.
Alla fine, decisi di occupare il tempo mangiando. Mi sedetti ad uno dei primi ristoranti che trovai, dal nome impronunciabile-nonstante fossi a Mosca da qualche anno, non avevo per niente un buon accento- e ordinai davvero la prima cosa del menų.
Il cameriere, cordiale e accomodante con il mio russo stracciato, si allontanō da me dopo qualche minuto, scomparendo tra i tavolo e poi nelle cucine, lasciandomi ad aspettare il mio pasto.